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Da Gottfried Benn, che ha sempre scompaginato tutte le categorie, e che ha bollato l'Io come «stato d'animo tardivo della natura, e oltre tutto fugace», non ci si poteva certo aspettare una compita autobiografia che raccontasse gli eventi di un'esistenza. Il paesaggio biografico di Benn è quello del suo alter ego Rönne, «il medico, il flagellante delle cose singole», che non riesce più a sopportare né ad afferrare la realtà, «posto dinanzi all'esperienza della profonda, sconfinata estraneità». Un uomo che non possiede ormai «alcuna continuità psicologica», e che solo a tratti, in una perpetua doppia vita, riesce a ritrovare un'identità, «richiamata dagli abissi ed estorta in una lotta devastante». Questo libro, insieme bilancio e breviario d'artista, ma anche definitiva resa dei conti con la Germania - come il solo Nietzsche, prima, aveva osato -, è un prisma da cui promanano bagliori di pensiero e poesia, vertice di quella «prosa assoluta» di cui Benn è stato solitario cultore nel suo secolo. E proprio lui, avulso come nessun altro dall'«assurdo scorrere della storia», fa affiorare, pagina dopo pagina, il profilo di un'epoca: «...lo sfiorire corticale dei mondi, dei mondi borghesi, i mondi capitalistici, i mondi opportunistici, profilattici, antisettici, prostrati dai nubifragi del politico e dai rivolgimenti del potere, ma scaturiti in fondo dalla sostanziale crisi dell'essere occidentale ». Una crisi che non può trovare una «redenzione antropologica» se non nella forma: «il mondo dell'espressione ... l'ingranarsi di forze esteriori levigate, di superfici temprate e immote. Nulla, ma sopra: smalto». Con un saggio di Roberto Calasso.